Sempre meno diplomati all'università: nel 2012 il record negativo con il 57,7%
da repubblica.it – Ancora in calo il numero degli studenti che non proseguono gli studi dopo il diploma di scuola superiore. Una situazione che rischia di rendere ancora meno competitivo il nostro paese sui mercati internazionali. Dopo l’allarme lanciato lo scorso mese di gennaio dalla Crui (la Conferenza dei rettori) che denunciava il pericoloso calo di immatricolati registratosi nel 2011 all’università, la situazione si è ulteriormente aggravata nel 2012. Basta incrociare i dati forniti dal ministero dell’Istruzione sui diplomati della scorsa estate e su coloro che si sono successivamente immatricolati all’università per comprendere che il fascino della laurea sembra definitivamente tramontato. E nel 2012 l’Italia tocca il record negativo del tasso di passaggio dalla scuola all’università degli ultimi trent’anni. Tasse eccessivamente alte e famiglie in difficoltà per via della crisi? O semplice perdita di appeal del titolo di studio che una volta garantiva un lavoro certo e permetteva ai giovani di non trasferirsi dall’altra parte del globo per trovare un impiego? Sta di fatto che mai come nel 2012 il numero di studenti che, dopo la maturità, ha preferito dire basta alla formazione è stato così alto. Scorrendo i dati si scopre che nel 1982/1983 oltre sette giovani diplomati su dieci proseguirono gli studi all’università. E che 1991/1992 in Italia si toccò il record di passaggi dalla scuola all’università: 79,9 per cento. Dopo un periodo di dati oscillanti, dal 2002/2003 è iniziato un trend negativo che porta al record di oggi. Nell’anno 2012/2013 soltanto il 57,7 per cento dei giovani che si sono diplomati ha proseguito gli studi all’università. In termini assoluti, nonostante le diverse riforme che avrebbero dovuto snellire e rilanciare l’università italiana – che avrebbe dovuto fare da volano all’economia – il sistema universitario nazionale ha perso quasi 100mila immatricolati: 94mila per l’esattezza. L’Italia è il Paese europeo con il minor numero di laureati nella popolazione di età compresa fra i 30 e i 34 anni. Con il suo 19,8 per cento è superata soltanto da Romania e Turchia. La Germania sfiora il 30 per cento mentre la Francia ha già oltrepassato il 43 per cento. La Commissione europea ha fissato per i Paesi dell’Unione il raggiungimento entro il 2020 del 40 per cento con un obiettivo differenziato per l’Italia del 26/27 per cento. Ma crisi e disoccupazione galoppante, soprattutto a carico dei giovani, rischiano di far perdere al nostro Paese anche questo treno. Del resto, tutti gli organismi internazionali – economici e no – che si occupano di sistemi di istruzione certificano i benefici sul sistema economico e sociale dei vari Paesi dell’aumento del livello di istruzione della popolazione. E l’Italia, oltre ad avere uno dei livelli più bassi di laureati, è anche uno dei pochi Paesi che ha ridotto drasticamente gli investimenti in istruzione negli ultimi dieci anni, stanziando pochissimo anche in ricerca e sviluppo.
di Salvo Intravaia