REFERENDUM PER LA SCUOLA PUBBLICA – Da Bologna un segnale per tutto il Paese
Il 26 Maggio la città di Bologna sarà chiamata ad esprimersi sulla questione cruciale dei finanziamenti pubblici alla scuola dell’infanzia tramite il seguete quesito:
Quale, fra le seguenti proposte di utilizzo delle risorse finanziarie comunali, che vengono erogate secondo il vigente sistema delle convenzioni con le scuole di infanzia paritaria a gestione privata, ritieni più idonea per assicurare il diritto all’istruzione delle bambine e dei bambini che domandano di accedere alla scuola dell’infanzia?
a) utilizzarle per le scuole comunali e statali
b) utilizzarle per le scuole paritarie private
La proposta di un referendum consultivo viene dal Comitato articolo 33, una rete di cittadini e associazioni che si batte in difesa della scuola pubblica, laica e accessibile a tutti prevista dalla Costituzione; in queste settimane al lancio della campagna referendaria è seguito un’acceso dibattito pubblico che ha visto schierarsi a favore del definanziamento delle scuole private personalità significative come Rodotà, Settis e Landini, un dibattito che non può non riguardare l’intero Paese e il sistema nazionale d’istruzione tutto, privatizzato de facto dalle politiche dei tagli di questi ultimi 20 anni.
L’art- 33 della Costituzione prevede che “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.” , intanto però, dal varo della legge di parità 62/2000 e dalla costruzione del sistema misto pubblico-privato, la mole di finanziamenti comunali ai 27 istituti paritari della città (di questi 25 confessionali) è andata aumentando di anno in anno fino a raggiungere il milione di euro. Le conseguenze sono drammatiche in primis per le famiglie e i bambini: a settembre 2012 sono stati 423 i bambini che rischiavano di essere esclusi dalla scuola materna pubblica, 103 quelli per cui il Comune, nonostante la corsa ai ripari, non è riuscito a trovare una soluzione, quasi 100 invece i posti ancora liberi nelle scuole private in cui le famiglie sono costrette a pagare rette annuali che vanno dai 200 ai 100 euro
La situazione emergenziale che vive la città di Bologna non preoccupa però la curia, il PD, partito di maggioranza della città impegnato nella strenua difesa dell’attuale sistema integrato, né il sindaco Merola, che, oltre ad essersi schierato pubblicamente a favore dell’opzione B, sembra impegnato in un’operazione di vero e proprio“boicottaggio” del referendum. Il sindaco ha infatti prima negato la possibilità di far coincidere le date di voto del referendum con quelle delle elezioni politiche del Febbraio scorso, ha annunciato poi di voler istituire soltanto 200 seggi: la bassa affluenza è evidentemente per i poteri forti della città un risultato politico importante tanto quanto o forse più della vittoria dell’opzione B.
La battaglia è impari ma la posta in gioco è molto alta. Affermare col voto che i finanziamenti pubblici devono essere investiti per poter garantire il diritto all’istruzione di tutte e tutti e non la “libertà di scelta” di chi parte da condizioni socio-economiche più avvantaggiate è un’opportunità politica imponente. Le politiche di austerità che in questi anni abbiamo subito considerano infatti la formazione una spesa e non un investimento, non parlano di diritti ma di merito ed eccellenze ed ignorano la disparità delle condizioni di partenza, non considerano la povertà dilagante che esse stesse determinano e fanno diventare la scuola libera e accessibile a tutti della Costituzione un lusso per pochi.
La partecipazione al referendum di Bologna, così come la consultazione studentesca che in queste settimane sta coinvolgendo migliaia e migliaia di scuole e università, è il rifiuto dal basso di queste politiche, la sconfessione della loro assoluta necessità. Da Bologna può e deve partire un segnale importante contro la privatizzazione della scuola pubblica e contro il dogma dell’assenza di alternative, una battaglia che vale per tutto il Paese e che dobbiamo rendere egemonica.