MILANO – Settimana corta? Penalizzata la didattica
Come molti studenti e genitori sanno nelle prime settimane di giugno molti consigli d’istituto delle scuole di Milano hanno deciso se adottare o meno, per gli anni successivi, la cosiddetta “settimana breve”.
La provincia di Milano infatti invita caldamente tutte le scuole a pianificare l’orario delle lezioni su cinque giorni invece di sei giustificando la scelta dicendo che consentirebbe una “miglior gestione dei tempi di riposo o delle attività sportive dei giovani, anche una più ottimale organizzazione del lavoro del personale ATA”.
La cosa scandalosa in tutto questo non sta tanto nella decisione di introdurre la settimana corta in sé per sé (che alcune scuole hanno già adottato), quanto nella motivazione che sta spingendo ed ha spinto alcune scuole ad intraprendere questa strada. Di fatto la giustificazione di tale scelta non ha nulla a che vedere con l’introduzione di una nuova e migliore didattica (che come apparente vantaggio lascerebbe agli studenti e ai professori il week-end completamente libero), ma si tratta di una mossa meramente economica causata dai pesanti tagli che al scuola pubblica ha subito negli ultimi anni.
Tutte le scuole, infatti, necessitano di essere riscaldate quotidianamente: togliendo un giorno di scuola le spese per il riscaldamento si ridurrebbero drasticamente (si parla del 5-6 % di risparmio)..
Come dire, “cinque giorni di lezione invece di sei per risparmiare sul riscaldamento”.
Un buon risparmio, senza dubbio.
Tuttavia, come studentessa di liceo, mi sento insultata da affermazioni e provvedimenti del genere.
A tutti, studenti e professori, farebbe piacere avere il week end libero da trascorrere piacevolmente in famiglia eo con amici. Il punto, tuttavia, non è questo.
Contando che le ore rimarrebbero esattamente le stesse (non sono infatti previsti cambiamenti nella didattica) e che i professori non modificherebbero certo le loro modalità di insegnamento e assegnazione dei compiti ormai collaudate da anni, gli studenti avrebbero da sopportare ritmi di lavoro troppo pesanti.
Il calcolo è semplice: ipotizzando una media minima di 30 ore settimanali (in un liceo), distribuendole su 5 giorni si otterrebbero6 ore quotidiane. Aldilà della giornata pesante in sé (lo posso dire per esperienza, sei ore di lezioni da liceo distruggono letteralmente il cervello), è necessario tenere conto di tutte le conseguenze negative che ne deriverebbero.
Prima di tutto, la quantità di lavoro da preparare per il giorno successivo: nel peggiore dei casi 6 materie diverse avendo a disposizione un pomeriggio scarso ed il cervello fuso dalla mattinata appena superata. Ed è inoltre inutile dire che “si avrebbero a disposizione i due giorni del week-end per prepararsi per la settimana seguente”: siamo tutti stati (o siamo) ragazzi e sappiamo che il discorso del “portarsi avanti” non funziona mai, soprattuto con una concentrazione così alta di materie al giorno.
Inoltre, ad aggiungersi ad una mole di lavoro che risulterebbe nella maggior parte dei casi insostenibile, potrebbero venire meno anche molte delle attività offerte dalla scuola (come corsi di teatro, musica, giornalismo etc etc), quelle attività che fanno sì che un liceo non sia una sorta di “prigione” ma un luogo da vivere, non solo per il fatto che scalerebbero nel pieno pomeriggio, ma anche e soprattutto perché molti studenti dovrebbero rinunciarvi per lo studio.
Avendo così poche ore a disposizione nel pomeriggio, in teoria, dovrebbero essere tutte dedicate allo studio per il giorno successivo, senza lasciare spazio a molto altro.
Senza contare quei licei che offrono la possibilità del bilinguismo: come possono pensare di “spalmare” un numero ancora più alto di ore su cinque giorni? Perché, è chiaro, sarebbero proprio quei casi dove si tenta di offrire una formazione più completa o, per lo meno, più interessante, che risulterebbero i più danneggiati per il “meno tempo” di fatto concesso.
Stesso discorso per gli istituti tecnici dove, anzi, la situazione precipiterebbe ulteriormente per un numero di ore ancora maggiore.
È quindi evidente come coloro che si accingono ad intraprendere queste scelte siano del tutto estranei alla realtà che si propongono di modificare: si parla di un generale “impegno massimo di 32 ore”, ma non si entra in alcun modo nei dettagli delle varie e diverse situazioni dei licei della provincia e non si tiene minimamente conto delle conseguenze negative che deriverebbero.
Voglio concludere con una piccola riflessione, condivisa da molti altri studenti liceali e universitari di Milano.
L’istruzione deve essere considerata come uno dei pilastri portanti di un paese perché deve garantire la formazione di quelli che saranno i cittadini del domani che contribuiranno allo sviluppo del paese da tutti i punti di vista, anche da quello economico. Come è possibile, allora, che un qualcosa di così fondamentale sia limitato da motivi economici? Perché lo stato non è in grado di assicurare le migliori condizioni possibili e i giusti fondi ad un’entità così importante per la società? Come è possibile che sia ormai diventato quasi scontato “tagliare denaro” o cercare di “risparmiare” proprio sulla scuola pubblica, non capendo (o non volendo capire) che in questo modo di taglia lo sviluppo?
Nel momento in cui una data scelta organizzativa sembra mettere a rischio una didattica funzionante, sembra danneggiarla e andare a peggiorare l’offerta formativa, è necessario fermarsi e riflettere sul fatto che, poiché stiamo parlando di scuola, l’organizzazione di quest’ultima dovrebbe essere in funzione della didattica, e non il contrario -come invece molti sembrano pensare-.
Possiamo con tristezza considerare ancora valida l’affermazione di Calvino secondo cui “un paese che distrugge la sua scuola non lo fa mai solo per soldi, perché le risorse mancano o i costi sono eccessivi. Un paese che demolisce l’istruzione è già governato da quelli che dalla diffusione del sapere hanno solo da perdere”..?
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Maria Italia – LaPS Milano