Gli studenti a Monti: il cambiamento nasce dai diritti, ascolti noi invece che Gelmini e Marchionne 11/17/11
Dal 2008 noi studenti siamo stati la principale opposizione al governo Berlusconi, manifestando contro un processo di smantellamento della scuola e dell’università che non ha eguali in Europa e nel ...
Dal 2008 noi studenti siamo stati la principale opposizione al governo Berlusconi, manifestando contro un processo di smantellamento della scuola e dell’università che non ha eguali in Europa e nel mondo. La legge 133 del 2008 ha portato gli investimenti in formazione e ricerca del nostro paese, già bassi, ad arrivare al penultimo posto (in proporzione al Pil) tra i paesi Ocse. E la riforma Gelmini del 2010 ha continuato su questa strada, con una svolta autoritaria nel governo degli atenei, affidati ai soli rettori e a privati di loro fiducia, con una delega in bianco sul diritto allo studio, con la divisione tra baroni privilegiati e ricercatori precari senza futuro. Il combinato disposto di queste due leggi, con l’aumento vertiginoso delle tasse agli studenti (siamo i quarti in Europa) e l’ingresso dei privati dei cda, sta rendendo ormai indistinguibili le università pubbliche da quelle private, se non per la qualità dei servizi, sempre meno dignitosa…
Per questo abbiamo festeggiato quando il governo Berlusconi, responsabile di questo scempio, si è dimesso, e abbiamo apprezzato quando Mario Monti, nel suo discorso al Senato, ha indicato proprio nei giovani la risorsa con cui l’Italia può uscire dalla crisi. Noi ci consideriamo infatti una risorsa per far ripartire il nostro paese, vogliamo mettere la nostra intelligenza e le nostre energie al servizio del cambiamento, di un modello di sviluppo diverso, che metta al centro i saperi, l’ambiente, i servizi sociali.
Però queste parole sono state subito contraddette dalle successive, in cui Monti ha di fatto ripreso un suo editoriale di gennaio, in cui indicava nella riforma Gelmini dell’università e nel modello Marchionne di relazioni industriali due esempi da seguire.
Monti ha poi annunciato che per dare diritti ai giovani precari bisogna colpire i lavoratori “troppo tutelati”. Ci domandiamo chi siano. Forse i metalmeccanici di Pomigliano che sono scesi in piazza con noi lo scorso anno? A noi sembra che la competizione globale ci abbia reso tutti precari, e che non si possa ripartire se non si stabilisce che certi diritti devono valere per tutti. Parliamo di principi di minima ragionevolezza, come quello secondo cui chi fa lo stesso lavoro deve avere la stessa retribuzione e gli stessi diritti. Ma è progresso se questi diritti vengono livellati verso l’alto, non se noi giovani veniamo utilizzati per livellare verso il basso le condizioni di vita di tutti. Sabato e domenica, a Roma, parteciperemo, insieme a tanti altri, a un’assemblea sul tema della precarietà. Per lanciarla abbiamo preparato un decalogo (ilnostrotempoeadesso.it/component/content/article/35-contenuti/223-liberiamoci-della-precarieta-il-nostro-decalogo.html): non un libro dei sogni, non il mondo che vorremmo noi, ma delle semplici condizioni di dignità minima che ci avvicenerebbero a quello che succede del resto d’Europa. Perché non partiamo da quelle, invece che da Marchionne?
Per noi non ci sono governi tecnici o governi politici, governi amici o governi nemici: noi viviamo in prima persona la condizione studentesca, e poniamo a ogni governo le questioni che ad essa sono legate. Sarà in grado Monti di darci una risposta diversa dal mutismo autoreferenziale a cui ci aveva abituato Berlusconi? Si degnerà di ascoltare i 150 mila studenti che oggi sono scesi in piazza in tutta Italia o presterà orecchio solo alle banche?
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