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La “buona scuola” si adatta al declino del paese 06/09/15

di Felice Roberto Pizzuti, pubblicato originariamente su Il Manifesto Il nostro paese e il suo sistema pro­dut­tivo non sem­brano fatti per per­sone istruite. D’altra parte negli ultimi anni non sono man­cate ...


di Felice Roberto Pizzuti, pubblicato originariamente su Il Manifesto

Il nostro paese e il suo sistema pro­dut­tivo non sem­brano fatti per per­sone istruite. D’altra parte negli ultimi anni non sono man­cate dichia­ra­zioni di mini­stri del tipo che «con la cul­tura non si man­gia» (Tre­monti) o «chi non sa fare inse­gna» (Castelli).

Il governo attuale, con il dise­gno di legge sulla “buona scuola” ha annun­ciato una riforma che vor­rebbe appor­tare cam­bia­menti signi­fi­ca­tivi. Ma qual è lo stato delle cose? E come intende inter­ve­nire il governo?

Una sezione del Rap­porto sullo stato sociale 2015, pre­sen­tato ieri nella facoltà di Eco­no­mia della Sapienza di Roma, ana­lizza la situa­zione del nostro sistema d’istruzione e le sue con­nes­sioni con il nostro sistema pro­dut­tivo. Il futuro di un paese è nei suoi gio­vani e nella capa­cità delle gene­ra­zioni pre­ce­denti di tra­smet­ter­gli il loro baga­glio posi­tivo di cono­scenze e valori (è que­sto l’aspetto fon­da­men­tale dei rap­porti inter­ge­ne­ra­zio­nali; che andrebbe curato, non incri­nato met­tendo stru­men­tal­mente i gio­vani con­tro gli anziani).

Più ele­vati livelli d’istruzione favo­ri­scono il benes­sere della col­let­ti­vità e dei sin­goli; dalla for­ma­zione sca­tu­ri­scono van­taggi eco­no­mici e sociali; l’educazione in senso lato è un impor­tante fat­tore di miglio­ra­mento, anche delle con­di­zioni di salute, ma nel nostro paese non è ade­gua­ta­mente considerata.

La nostra spesa pub­blica per istru­zione è scesa al 4,2% del Pil con­tro il 5,3% della media euro­pea e siamo al penul­timo posto tra i 15 paesi ori­gi­nari dell’Unione Euro­pea (EU15).

Dal 2008 al 2011 la spesa per stu­dente è dimi­nuita del 12% e siamo sotto la media di 13 punti percentuali.

Gli abban­doni sco­la­stici nel 2013 erano del 17% con­tro una media euro­pea del 12%.

I nostri docenti sono tra i meno pagati (l’83% della media Ocse; il loro sti­pen­dio è pari al 60% del gua­da­gno medio di un lavo­ra­tore ita­liano laureato).

L’alfabetizzazione degli adulti regi­stra la posi­zione peg­giore nell’EU15: il 70% non rag­giunge il livello rite­nuto “il minimo indi­spen­sa­bile per un posi­tivo inse­ri­mento nelle dina­mi­che sociali e occupazionali”.

Nella media dei paesi Ocse il con­fronto tra i costi soste­nuti per lau­rearsi e i van­taggi che ne deri­vano in ter­mini di mag­giori red­diti da luogo ad un tasso di ren­di­mento interno pri­vato del 14%; nella media dei paesi euro­pei supera il 15%, in Ita­lia è solo dell’8%. Dun­que, da noi andare all’università con­viene molto meno; non è strano che nella popo­la­zione tra i 30 e i 34 anni, solo il 22% è lau­reata, con­tro il 40% dell’EU15.

A dif­fe­renza di quanto avviene in Ita­lia, nei paesi dell’EU15 i lau­reati regi­strano un tasso d’occupazione net­ta­mente più alto dei meno istruiti.

Nel nostro paese, i gio­vani tra i 15 e i 29 che non stu­diano, non hanno e non cer­cano lavoro — i cosid­detti NEET — sono cre­sciuti dal 20% nel 2005 al 26% nel 2013, men­tre nella media euro­pea si è pas­sati dal 14% al 15%. Dal 2006 al 2011, il pas­sag­gio dei nostri diplo­mati all’università è dimi­nuito dell’8%. Con sem­pre minori risorse for­miamo ancora buoni lau­reati, ma poi il sistema pro­dut­tivo li spinge all’estero, dove magari s’incontrano con nostri capi­tali in imprese con­cor­ren­ziali alle nostre.

Dun­que nell’istruzione emerge una nostra vera ano­ma­lia. La com­mis­sione euro­pea da anni non esprime più pre­oc­cu­pa­zioni per la soste­ni­bi­lità finan­zia­ria del nostro sistema pen­sio­ni­stico; invece ci ha richia­mato ad accre­scere la spesa per istru­zione e for­ma­zione, ci chiede di con­tra­stare i bassi tassi d’istruzione, la scarsa dif­fu­sione della for­ma­zione per­ma­nente e gli ele­vati tassi d’abbandono sco­la­stici. Si aggiunga che il sistema di pre­ca­riato ha susci­tato una sen­tenza di con­danna della Corte di Giu­sti­zia Europea.

Negli ultimi anni lo svi­luppo del nostro sistema d’istruzione è stato limi­tato anche dalle dele­te­rie poli­ti­che di con­so­li­da­mento fiscale impe­ranti nell’Unione; ma prima ancora è stato con­di­zio­nato da un sistema pro­dut­tivo sem­pre più appiat­tito sui set­tori “maturi”, che cerca la com­pe­ti­ti­vità per­se­guendo la “via bassa” e per­dente della ridu­zione del costo del lavoro e della sua for­ma­zione. Le poli­ti­che eco­no­mi­che e sociali non hanno pun­tato sull’innovazione pro­dut­tiva, sulla con­nessa for­ma­zione dei lavo­ra­tori e sulla più gene­rale dif­fu­sione dell’istruzione e della ricerca. Nella divi­sione inter­na­zio­nale del lavoro siamo retro­cessi allon­ta­nan­doci dai sistemi in grado di com­pe­tere per l’apporto qua­li­ta­tivo e tec­no­lo­gico dei loro sistemi pro­dut­tivi e for­ma­tivi. Le poli­ti­che per la scuola, l’università e la ricerca si sono adat­tate al declino del nostro paese che non è solo economico.

Rispetto a que­sta allar­mante ten­denza, la riforma si foca­lizza su aspetti pur per­ti­nenti quali la valu­ta­zione, ma con­cen­tran­dola nel soli­ta­rio giu­di­zio dei pre­sidi; sono invece sot­to­va­lu­tate que­stioni dram­ma­ti­ca­mente urgenti quali la manu­ten­zione delle scuole; più in gene­rale, viene elusa la neces­sità pri­ma­ria di aumen­tare e comun­que con­cen­trare le risorse sul sistema pub­blico che da troppo tempo è tra­scu­rato. I pro­getti di nuovi mec­ca­ni­smi di finan­zia­mento da parte di pri­vati e i dise­gni di azien­da­liz­za­zione degli studi sco­la­stici impli­cano l’elevato rischio di influen­zare — più o meno sur­ret­ti­zia­mente — sia i con­te­nuti e l’orientamento dell’insegnamento sia l’equità dell’accesso all’istruzione che costi­tui­scono respon­sa­bi­lità pri­ma­rie delle isti­tu­zioni pubbliche


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