di seguito pubblichiamo un estratto dell’articolo di Alessandra Quarta comparso su Politica del Diritto, marzo-giugno 2013
L’art. 633 c.p. ha trovato ampia applicazione negli anni ’60 e ’70 per reprimere le occupazioni delle aziende durante gli scioperi sindacali e, dopo il 1968, le occupazioni di scuole ed università. Rispetto a questo secondo fenomeno, l’art. 633, valido anche nelle ipotesi di invasione e occupazione di proprietà pubblica, è stato diversamente applicato dalla giurisprudenza.
Le corti di merito pronunciatesi negli anni ’60 e ’70 non ravvisavano nell’occupazione per motivi legati all’organizzazione o alla didattica di edifici scolastici ad opera di studenti o insegnanti, la lesione di un interesse patrimoniale dello Stato; contemporaneamente, ritenute le occupazioni uno dei mezzi per conseguire finalità socialmente e politicamente rilevanti, oltre che una forma di libera manifestazione del pensiero, la liceità della condotta era altresì ancorata all’esercizio del diritto di sciopero. In ultimo, i giudizi di merito non qualificavano l’ingresso negli edifici come arbitrario, costituendo, al contrario, un esercizio del diritto, data l’appartenenza di scuole ed università anche agli studenti (1), il che escludeva la natura contra ius della loro condotta, non essendo soggetti estranei all’immobile in quanto titolari del diritto di accesso. Ad accreditare quest’ultima lettura, vi era anche l’art.1 del d.p.r. 31 maggio 1974, n. 416 che definiva la scuola una «comunità che interagisce con la più vasta comunità sociale e civica», al cui sviluppo gli studenti partecipano attivamente insieme alle altre componenti (2).
Sulla base di tale ragionamento, la giurisprudenza di merito di quegli anni tendeva a pronunciare sentenze assolutorie, spesso però smentite dalla giurisprudenza di legittimità, che, invece, ricavava l’arbitrarietà della condotta dall’accesso agli edifici scolastici effettuato al di fuori dei limiti di tempo e con modalità non consentite dai relativi regolamenti (3); inoltre, l’occupazione non era ritenuta una forma di libera manifestazione del pensiero, giacché impediva l’esercizio di altri interessi coinvolti e cioè il regolare svolgimento delle attività didattiche, da garantire a tutela degli studenti dissenzienti rispetto alle forme prescelte di protesta (4).
È evidente che il contrasto tra i tribunali di merito e la Corte di Cassazione si spiega anche con riguardo al momento in cui intervengono le rispettive decisioni, dal momento che i primi si pronunciano più a ridosso degli avvenimenti, risentendo del dibattito politico culturale contemporaneo e, in generale, di un clima tutto sommato favorevole alle proteste in corso.
Se questo è vero, va però detto che in una più recente pronuncia della Corte di Cassazione (5), l’argomentazione interpretativa prevalente è stata proprio quella avanzata dalla giurisprudenza di merito: è infatti esclusa l’arbitrarietà della condotta degli studenti imputati dal momento che l’edificio «nella sua struttura muraria e nelle sue attrezzature» appartiene sì allo Stato «e di conseguenza non deve essere danneggiato», ma non può altresì negarsi che «la scuola – anche in forza del d.p.r. 31 maggio 1974, n. 416 – costituisce una realtà non estranea agli studenti, che contribuiscono e concorrono alla sua formazione ed al suo mantenimento» (6). La Cassazione, quindi, ha dedotto la titolarità del diritto di accesso degli studenti dalla loro partecipazione attiva alla comunità scolastica, elemento questo che sarà poi valorizzato nel Regolamento recante lo statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria (7), il quale sancisce, tra gli altri diritti, che lo studente «ha diritto alla partecipazione attiva e responsabile alla vita della scuola».
La Corte di Cassazione ha colto in questa sua decisione le modifiche intervenute nel contesto sociale, ricorrendo proprio a quelle «concezioni socio-culturali ed istituzionali vigenti nel momento storico di applicazione della norma» cui si accennava sopra, concezioni che le hanno consentito di escludere il dolo dell’agente, per errore su quella norma extra-penale che definisce arbitrario l’ingresso dell’immobile (8).
La giurisprudenza svolgeva un analogo ragionamento in materia di occupazione d’azienda ad opera dei lavoratori per valutare l’applicabilità dell’art. 508 c.p.(9): la giurisprudenza di merito degli anni ’60 e ’70, con un’interpretazione della fattispecie poi avallata da buona parte della dottrina, riteneva che tale pratica fosse una delle modalità di praticare il diritto di sciopero. L’antigiuridicità del fatto, in altre parole, veniva ridimensionata alla luce delle motivazioni di natura sindacale espresse dagli agenti, i quali, mossi da necessità di vita, perpetravano un disegno di trasformazione, spesso non solo di portata individuale ma con carattere sociale, seguendo una linea già tratteggiata dalla Costituzione (10) attraverso il riconoscimento del diritto di sciopero (art. 40).
1 E. Calcagno, Liceità penale delle occupazioni studentesche, in Dir. Pen. e Processo, n. 12, 2000, pp. 1639 ss.
2 Cfr. Trib. Catania, 21 novembre 1994.
3 Cass. Pen., 26 maggio 1978.
4 Cass. Pen., sez. II, 30 novembre 1979.
5 Cass. Civ. sez. II, 30 marzo 2000.
6 La Cassazione in questa sentenza ha anche sostenuto l’inaccettabilità dell’equiparazione del concetto di invasione a quello di permanenza non consentita, risultando un’ipotesi di interpretazione analogica in malam partem, vietata dal diritto penale.
7 D.p.r. 24 giugno 1998, n. 249.
8 S. Fiore, I reati contro il patrimonio, Torino, 2010, p. 227; Neppi Modona, op. cit., p. 219.
9 Chiunque, col solo scopo di impedire o turbare il normale svolgimento del lavoro, invade od occupa l’altrui azienda agricola o industriale, ovvero dispone di altrui macchine, scorte, apparecchi o strumenti destinati alla produzione agricola o industriale, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa non inferiore a lire duecentomila. Soggiace alla reclusione da sei mesi a quattro anni e alla multa non inferiore a lire un milione, qualora il fatto non costituisca un più grave reato, chi danneggia gli edifici adibiti ad azienda agricola o industriale, ovvero un’altra delle cose indicate nella disposizione precedente.
10 Sellaroli, L’occupazione delle fabbriche e il sabotaggio nella prospettiva costituzionale,
in Gius. Pen., 1969, I, p. 134.