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L’alternativa non si ferma: adesso denunciateci tutti! 12/22/14

La repressione delle idee: cosa sta succedendo nelle scuole del Paese Da oltre 4 anni a questa parte il movimento studentesco esprime con forza la sua contrarietà alle politiche dei ...


La repressione delle idee: cosa sta succedendo nelle scuole del Paese

Da oltre 4 anni a questa parte il movimento studentesco esprime con forza la sua contrarietà alle politiche dei governi che vogliono sottoporre la scuola pubblica a finanziamenti e influenze da parte dei privati. Dalle mobilitazioni dell’autunno 2012 contro il ddl Apprea, in cui emerse il chiaro dissenso nei confronti della privatizzazione del sistema d’istruzione, negli studenti si è radicata la necessità non soltanto di opporsi a tali provvedimenti, ma di rivendicare una complessa ristrutturazione dell’intero sistema formativo partendo innanzitutto dalla garanzia del libero accesso ad esso. A partire dall’autunno del 2012, caratterizzato ampiamente dall’opposizione vittoriosa contro il ddl ex Aprea, il dato della proposività dei movimenti studenteschi è emerso con sempre più forza ed evidenza. Il contrasto forte alla “Buona Scuola” affonda dunque le sue radici in una componente studentesca già pronta ad opporsi a tutti quei governi che promuovono politiche di smantellamento del pubblico, inteso esso sia come erogatore di servizi tanto come spazio nel quale i diritti siano garantiti a tutti.

Sin dai primi giorni di settembre le assemblee studentesche parlavano di come ripensare ad un sistema d’istruzione in cui a tutti fosse garantita la possibilità di accedere ai canali formativi senza barriere economiche, in cui crescere collettivamente. Il governo Renzi, attraverso la consultazione studentesca, ha impostato una campagna mediatica inneggiando alla democrazia e alla partecipazione di tutte le componenti della scuola. Tuttavia, anche quelli studenti che hanno accolto in maniera “neutra” quella modalità sono stati delusi dai numerosi incontri-propaganda, dai tavoli di discussione già partecipati da membri di aziende e da un questionario che non dava possibilità di critica o espressione reale.

Abbiamo costruito centinaia di mobilitazioni, organizzato contestazioni, tessuto una rete di assemblee studentesche aperte alla cittadinanza tutta, scesi in migliaia nelle piazze a partire dal 10 ottobre. Nonostante tutto il Governo ha letteralmente scavalcato la volontà dei cittadini e, con l’approvazione dello Sblocca Italia prima e del Jobs Act dopo, si è maturata la necessità di contrastare le sue politiche in maniera più radicale, innalzando il livello del conflitto. Le occupazioni delle scuole si pongono, quindi, come strumento d’efficacia per contrastare la direzione presa da Renzi e opporvi un modello di scuola diversa, capace di praticare un sapere eretico e libero dai discorsi imposti, fondato sull’ascolto e la condivisione di esperienze come elementi di crescita.

Da nord a sud del Paese però media, Governo e dirigenti scolastici, hanno tratteggiato diversamente le occupazioni. A Bari, ad esempio, le scuole occupate sono state più di venti, con una organizzazione intensa di corsi autogestiti e laboratori, i cui documenti di proposta sono stati oggetto di discussioni e, pur essendo stati pubblicati, non sono mai stati ripresi dai media impegnati più che altro nello screditare l’atto o nell’inseguire i gusti del pubblico abituati allo scandalismo. Ma oltre alla campagna negativa operata da parte dei media vi sono stati anche numerosissimi atti repressivi da parte dei presidi e delle forze dell’ordine che hanno portato all’allontanamento dalla comunità scolastica di molti studenti e alla loro denuncia penale, gli ultimi quelli del Salvemini di pochi giorni fa.

Anche a Napoli la repressione non ha tardato a farsi sentire, con 150 studenti denunciati solo in città e provincia dopo le mobilitazioni degli ultimi ultimi mesi. Le dichiarazioni di Angela Cortese (consigliere regionale PD Campania) erano state chiare rispetto all’atteggiamento da adottare contro gli studenti che tentavano l’occupazione: “bocciature e sospensioni” per allontanare i collettivi studenteschi dalla regione! Parole che sono state rispettate alla lettera. Emblematico è stato il caso del liceo scientifico Segrè di Marano dove, dopo l’irruzione della polizia nel cuore della notte che ha identificato e denunciato tutti coloro che sono stati trovati all’interno dell’istituto, il Collegio Docenti ha persino dato il 6 in condotta a tutta la componente studentesca. Peggiore è stata invece la sorte degli studenti dell’ I.T.C. Galiani, la scuola tristemente venuta all’onore della cronaca dopo il saccheggio ad opera di esterni. In questi giorni il Collegio dei Docenti ha infatti identificato (con modalità ancora alquanto dubbie) più di 100 studenti, rei di “non aver fatto nulla per opporsi all’occupazione” e che dovranno quindi scontare 15 giorni di sospensione con obbligo di frequenza. Caso ancor più grave è quello del Boccioni-Palizzi dove gli studenti sono stati sgomberati con la forza dagli agenti della DIGOS che li hanno presi di peso e cacciati fuori. Risulta quasi incommentabile invece ciò che è successo pochi giorni fa a Bagnoli, all’istituto Nitti. Lì uno studente è stato addirittura minacciato a mano armata da parte di un agente della vigilanza per “placare” gli animi della protesta.

Come commentare questi accadimenti? I nostri dirigenti si infettano sempre più di forme di isteria schizofrenica, convinti che ormai la scuola sia una loro proprietà privata, impersonificando sin da subito la figura di quei presidi-manager previsti nella Buona Scuola, ergendosi a garanti di un modello di scuola antidemocratico e privo di spazi di democrazia. Ma la colpa non è esclusivamente loro. Dal canto suo, infatti, il Governo non solo non ha fatto alcun passo indietro, ma si è dilettato nell’esprimersi anche con posizioni paternalistiche e strumentali. Come definire del resto le parole del sottosegretario Faraone, che ai media è passato come un grande sostenitore delle occupazioni e del dialogo con gli studenti? Abbiamo rispedito ai mittenti i sostegni strumentali, perché siamo un soggetto che reclama un confronto maturo, laico, nel merito e non di facciata. Siamo al contempo stanchi delle litanie accusatrici di tutti coloro che, anno dopo anno, dicono di sostenere le nostre rivendicazioni, forti di aver fatto il ‘68, ma di non condividere le occupazioni, autogestioni o altre forme di lotta necessarie in questo momento per evidenziare le istanze. Noi non siamo una stanca riproposizione di lotte sconfitte. Nella nostra contestazione vi sono le basi per la costruzione di un’altra idea di scuola e di società e non abbiamo bisogno di inseguire modelli del passato.

Siamo la variabile imprevista, per questo facciamo paura

Quest’anno stiamo assistendo ad una reazione spropositata da parte dei dirigenti delle nostre scuole. Stiamo gustando gli assaggi del nuovo modello di scuola imposto dalla Buona Scuola, in cui il preside perde ogni funzione di garante democratico e pedagogico ma assume sempre più una gestione amministrativa, didattica e finanziaria manageriale. Già da un po’ l’autonomia scolastica, accompagnata dal lassismo dello Stato in termini di finanziamenti, si è trasformata in autocrazia, con al centro il preside manager che, ancor più dopo che verranno emanati i decreti su La Buona Scuola, dovrà trasformarsi in un cacciatore di finanziamenti privati per poter sostenere l’esistenza del proprio istituto. Quando si instilla la competizione, non soltanto tra studenti, ma anche tra docenti e scuole stesse, viene meno la cooperazione. Se viene meno la cooperazione viene meno la democrazia interna a favore di una governance apparentemente partecipata, che in realtà rende futile ogni forma di rappresentanza, su tutte quella studentesca. Chiaramente, quando gli studenti hanno la forza di far sentire la propria voce, estendendo la rappresentanza stessa a favore di una forma democratica altamente partecipata come quella dell’occupazione o dell’autogestione, essi creano un cortocircuito non risolvibile. Difatti non pensiamo di fare un’affermazione azzardata se diciamo che la democrazia che reclamiamo è incompatibile con il disegno del Governo sulla governance scolastica e, più in generale, con il processo di aziendalizzazione in atto dal 2008 a questa parte ai danni delle nostre scuole. Lo sappiamo e ci assumiamo la piena responsabilità di continuare a lottare scuola per scuola per affermare la nostra contrarietà non soltanto rispetto alle politiche del Governo, ma più in generale verso la torsione autoritaria dei nostri luoghi. Ci additano di praticare forme di lotta radicali. Per una volta possiamo dare ragione ai nostri screditori: siamo radicali (che deriva proprio dal latino radix -icis «radice») perché vogliamo andare alla radice dei problemi e non sostare immaturamente sulla superficie di essi.

Sappiamo però che i tentativi di criminalizzazione del movimento studentesco non sono da leggere isolatamente dal resto dei metodi di “ascolto” adottati dal Governo Renzi negli ultimi mesi. Appare chiaro, difatti, quanto siano state compiute da parte di quest’ultimo delle precise scelte di campo: svalutamento delle soggettività sociali organizzate, del sindacato, dei movimenti; forzatura dei processi parlamentari, silenziamento delle espressioni di disagio forti. Non può sfuggirci dunque la torsione violenta in senso autoritario che Renzi sta imprimendo alla società. La tendenza della pratica renziana del Governo ci pare allontanarsi tanto dalla Prima Repubblica (alta affluenza, schema riconosciuto di relazione con le parti sociali etc.), tanto dalle democrazie plebiscitarie e populiste. L’americanizzazione della società, con la bassa affluenza (considerata “un problema secondario”, quindi un dato fisiologico tanto quanto la guerra tra poveri che cresce nelle nostre perfierie) e il disconoscimento delle parti sociali, sono processi i cui tratti sono stati più che accennati nel corso di questo autunno. Oggi dunque gli attacchi alle parti sociali e ai movimenti sono da leggere come un tentativo di eliminare dei potenziali contenimenti democratici a favore di un modello verticistica di governance che si sostanzia in un rapporto diretto tra le masse relegate a costituirsi di volta in volta in effimeri aggregati d’opinione e la politica degli aggregati partitici al Governo. Il disegno renziano però si è scontrato prima con gli studenti, dopo con un sindacato in forma e infine con l’attivazione, anche al di fuori di quest’ultimo, di lavoro dipendente, precario e di fasce di inattivi sempre più in crescita attraverso la giornata di sciopero sociale del 14 novembre. Purtroppo per il Governo non siamo stati il “noioso deja vu” che viene riproposto ogni anno. Così disse Renzi alla stampa il 4 agosto, ripetendo come un mantra che non ci sarebbe stato alcun autunno caldo di contestazione. Invece l’autunno ha riscaldato il Paese, ha eroso il consenso del premier, è stato capace di smascherare con efficacia i progetti di ristrutturazione in chiave neoliberista nascosti dietro la sloganistica quotidiana. Siamo stati una variabile non prevista, radicalmente democratica. Per questo facciamo paura, per questo ci screditano o ci intimidiscono con sospensioni, voti di condotta o denunce.

Questa consapevolezza ci pone una responsabilità ulteriore: oggi riteniamo di dover rappresentare una possibilità per tutti coloro che non
hanno parola. Oggi usare la parola di chi parla in nostro nome, come fa il Governo sin dal suo insediamento, non è parlare. Siamo in tanti a non aver parola, siamo in tanti ad essere subalterni. Sono egemoni invece coloro che hanno potere di parola, di articolare un discorso auto-legittimante, di istituire linguaggi, di imporre un senso alle cose rendendo il proprio punto di vista “senso comune”. Renzi ci ha provato: ha parlato di Marta, delle nostre generazioni bisognose di diritti, di lavoro, di tutele; ha parlato di una gloriosa riforma della scuola, di una consultazione senza pari nella storia del nostro Paese, di una presunta modernità in attesa sull’uscio delle nostre classi pronta ad entrare e stravolgere positivamente i nostri luoghi. Purtroppo per lui non ci siamo cascati ma abbiamo provato a costruire un altro discorso rispetto a quello dominante, abbiamo ribaltato il suo ordine, imposto ai media le nostre priorità, a partire dalla gratuità dell’istruzione e dal contrasto alla precarietà. La sua consultazione è stata una vera farsa!

Saremo l’incubo degli annoiati: la costruzione dell’alternativa non si ferma!

Avere paura delle occupazioni o delle autogestioni significa non cogliere la ricchezza incommensurabile che portanto esperienze di lotta e di crescita come queste. Abbiamo scritto pochi giorni fa quanto occupare una scuola sia in primis una forma di riappropriazione piena del luogo e un prendersi cura di esso. Parlavamo appunto della necessità, sempre più vera, di associarsi “per” qualcosa e non soltanto “contro” l’ennesima riforma. Abbiamo dato vita alle nostre scuole praticando un modello diverso di didattica, di socialità, di gestione democratica. Scuole che si aprono al territorio, scuole che sfidano il proprio ruolo sul territorio. Sfidiamo tutti coloro che si riempiono la bocca sull’inutilità di questi momenti a venire a trovarci nelle nostre scuole, restituite alla collettività perché solo intese come bene comune possono assolvere al proprio ruolo.

Ora che si è sollevato il polverone mediatico attorno alle sospensioni e alle denunce ci teniamo a precisare un elemento: non ci interessa in alcun modo ridurre la nostra lotta ad una sterile opposizione studenti/docenti o studenti/dirigenti. Non cadremo nelle facili contrapposizioni utili soltanto a indebolire le lotte. Noi ricerchiamo l’unità con i docenti, sempre. La ricerchiamo perché pensiamo che la resistenza alle politiche degli ultimi vent’anni abbia raggiunto livelli buoni soltanto quando si è costruito un fronte compatto; la ricerchiamo perché per cambiare le scuole dal basso, a partire dalla didattica, dalla valutazione e dalle buone sperimentazioni di governance democratica, abbiamo bisogno del sostegno sopratutto dei professori. Non ci interessa l’estetica, guardiamo sempre alla sostanza, ai cambiamenti che toccano negativamene o positivamente la nostra condizione materiale. Non vogliamo altresì che il dibattito attorno alla nostra presa di parola di riduca alla giustezza o meno delle occupazioni e delle conseguenti sanzioni. Reclamiamo un ascolto vero delle nostre istanze, pienamente politico, senza pregiudizi.

Ci siamo limitati ad evidenziare nuovamente soltanto alcuni motivi dell’ondata di occupazioni, autogestioni e assemblee permanenti. Siamo fermamente convinti di fare la cosa giusta in questo momento e non ci pentiamo di nulla. Riprenderci le nostre scuole oggi è un atto di forza positivo per dimostrare quanto siano più belle, accoglienti e ricche di saperi se gestite con il protagonismo e la piena partecipazione degli studenti. Nelle nostre splendide giornate di lotta abbiamo sentito bussare alla porta delle nostre scuole dirigenti autoritari, professori sordi e Governo. Non l’hanno fatto sempre con civiltà, il più delle volte ci hanno dato lezioni di inciviltà e barbarie. Evidentemente il nostro non è il loro modello di scuola. La loro Buona Scuola è invece quella che reprime il dissenso, che punisce, che distrugge legami di solidarietà e fomenta la competizione. Una scuola-tribunale, dove si viene addirittura processati per le idee politiche.

Noi una scuola del genere non la accetteremo mai. Amiamo la scuola delle differenze che si arricchiscono vicendevolmente, della democrazia come pratica e non come evocazione, della decisione collettiva a discapito dell’autoritarismo di qualche dirigente impegnato nel far rispettare i parametri degli Invalsi o a rendere la nostra scuola appetibile per gli investimenti privati. Amiamo e lottiamo per una scuola immersa nel mondo, dove ci si possa educare assieme, crescere senza l’ossessione della competizione, senza sensi di colpa, senza sentirsi perennemente sotto processo.

Nella nostra lotta per la salvaguardia, o meglio, per la restituzione di un principio educativo ai nostri luoghi sempre più attraversati da tendenze privatistiche, impariamo ad alzare la testa, a prendere posizione, a parteggiare. Quello che abbiamo messo in campo è troppo prezioso per essere distrutto dalla repressione o dal silenzio. Non ci faremo intimidire. Per questo questi giorni abbiamo lanciato una fotopetizione sarcastica dal titolo “Adesso denunciateci tutti” seguito dall’hashtag #noallarepressione; per questo stiamo aprendo uno sportello SOS per tutti gli studenti colpiti da sanzioni disciplinari, voti in condotta ingiusti, sospensioni e ritorsioni soltanto per aver partecipato a momenti di protesta. Facciamo questo perché, a differenza di chi ci vuole dividere e vedere tristi, noi non lasciamo nessuno solo.

Com’è che si declamava in una bella canzone? “Saremo l’incubo degli annoiati [...] Saremo tempesta, tempesta e calore.. La ghigliottina di ogni legge morale”


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