Verso il 15 ottobre: siamo il 99% – knowledge changes the world 10/14/11
A 3 anni dallo scoppio della bolla finanziaria, è diventato ben difficile in Europa distinguere tra la crisi e le soluzioni alla crisi. Cos’è che sta distruggendo lo stato sociale ...
A 3 anni dallo scoppio della bolla finanziaria, è diventato ben difficile in Europa distinguere tra la crisi e le soluzioni alla crisi. Cos’è che sta distruggendo lo stato sociale greco? La crisi o i provvedimenti anticrisi? Perché l’economia italiana è ferma? Per la crisi o per le manovre anticrisi del governo?
I diktat della Bce, a cui i governi europei obbediscono senza fiatare, sembrano, infatti, improntati a una specie di omeopatia economica al contrario. Se dopo 30 anni di politiche neoliberiste, arriva la più grande crisi economica del dopoguerra, la soluzione non può essere che nuove e più pesanti privatizzazioni, nuove e più pesanti deregulation, nuova e più pesante precarizzazione. Come curarsi un livido a martellate, insomma.
A prendersi queste martellate per primi, e a denunciarlo pubblicamente, siamo stati noi studenti italiani, che già nel 2008, di fronte ai più pesanti tagli a scuola e università della storia repubblicana, urlavamo «Noi la crisi non la paghiamo», un coro a cui, 3 anni dopo, si è aggiunta mezza Europa, compresi i sindaci leghisti e berlusconiani affamati dalla manovra. Del resto, sappiamo di essere le cavie predilette del sistema: nel 2008 si sperimentavano su di noi i tagli anticrisi esattamente come da anni si sperimenta su di noi la precarizzazione selvaggia dei rapporti di lavoro, che il ricatto della delocalizzazione ora estende a fasce sempre più ampie della popolazione.
È necessario un processo di radicale ripensamento della nostra società, e scuole e università possono offrirsi come luoghi in cui si praticano realmente la partecipazione democratica e l’alternativa: dall’AltraRiforma, ai referendum che proponiamo negli atenei sugli statuti che recepiscono la riforma Gelmini.
Ma il terreno dell’opposizione sociale resta centrale: il 7 ottobre in 90 piazze italiane abbiamo gridato «Ora fate i conti con noi», e il 15 ottobre saremo tutti a Roma. La posta in gioco è altissima, e per questo il 15 ottobre deve essere l’apertura di una grande mobilitazione capace di costruire consenso e riaprire spazi di vittoria. Quel giorno renderemo visibile a tutti che, se dentro i palazzi del potere regna la cieca obbedienza ai diktat della finanza, fuori esiste un popolo che non si arrende. Dal giorno dopo, quella determinazione andrà riportata in ogni città: ogni scuola, ogni università, ogni piazza deve diventare lo spazio del dissenso e del cambiamento.
Il cambiamento che vogliamo, lo sappiamo, non sarà magicamente prodotto tra i fumi delle macerie o nell’abracadabra elettorale, ma dalla nostra capacità di incidere in profondo nel tessuto sociale di questo paese, di avanzare proposte radicali e innovative, di costruire intorno a esse un consenso ampio e trasversale, di rovesciare i rapporti di forza. Come soggetti sociali viviamo tutti i giorni le conseguenze drammatiche di avere Berlusconi al governo, e ci auguriamo che se ne vada presto in pensione (lui che ne ha una). Ma sappiamo che per il sindacato studentesco non ci sono governi amici, e di certo nessun governo si potrà dichiarare amico delle studentesse e degli studenti e contemporaneamente accettare ciò che è scritto nella lettera della Bce, cioè nuove privatizzazioni, nuovi tagli al welfare, nuovi attacchi ai diritti sociali.
E quindi la nostra sfida, come generazione, la sfida che stanno affrontando nelle acampadas spagnole come in piazza Tahrir, è l’opportunità di rivoluzionare il rapporto tra società e politica. Non ci basta cambiare i politici che ci governano, vogliamo cambiare la politica. Non ci basta cambiare governo, vogliamo cambiare il modo con cui il nostro mondo è governato. Se la crisi è così epocale come diciamo, allora non sono ipotizzabili soluzioni già viste, né scorciatoie, dalla distruzione nichilista alla cooptazione politicista. La nostra sfida è fare in modo che, come è successo con i referendum di giugno, gli uomini e le donne di questo paese sappiano prendere in mano direttamente il proprio destino e costruire in prima persona un altro mondo possibile.
Abbiamo bisogno delle idee e delle energie di tutti, per farlo. La nostra battaglia riguarda tutti: l’1% della popolazione mondiale ha prodotto la crisi e sta decidendo sulle soluzioni, noi siamo il 99% e non possiamo più stare zitti.
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