invalsi protesta studenti maggio 2012 0

Per una valutazione che non faccia rima non punizione o schedatura 03/01/15

La cultura della valutazione ricopre oggi un ruolo determinante nel processo di subordinazione dei saperi alle logiche di mercato. Il principio della produttività, tipico dell’economia di mercato, infatti, è centrale ...


La cultura della valutazione ricopre oggi un ruolo determinante nel processo di subordinazione dei saperi alle logiche di mercato. Il principio della produttività, tipico dell’economia di mercato, infatti, è centrale all’interno dei luoghi della formazione e, stando anche a quanto si può facilmente intuire da ciò che è scritto ne La Buona Scuola, è destinato ad assumere sempre maggiore importanza. La convinzione da cui si parte è che un sapere per poter essere valutato debba essere esternalizzato e reso visibile a tutti. Ci si imbatte, dunque, nell’esigenza dell’oggettività, per cui tutto ciò che è oggetto di valutazione deve essere razionalizzato secondo parametri universalmente validi. E così mentre il voto numerico diventa traduzione della quantità di ore di studio dedicate a una materia, nelle nostre scuole si impone un’idea di valutazione sempre più aderente al modello INVALSI, che si contraddistingue per la propria “valutazione automatica o oggettiva”, in nome della quale si giunge a una sintesi del voto finale grazie a una serie di parametri standardizzati che non sono stati pensati per apprezzare le peculiarità del singolo individuo o del contesto preso in analisi. Pertanto, il destinatario della valutazione non è lo studente o una qualsiasi altra anima del mondo della formazione, a cui tra l’altro viene preclusa la possibilità di individuare e comprendere i propri punti di forza e di debolezza. Le prestazioni del singolo studente vengono, inoltre, considerate in un preciso momento della sua vita, senza tener conto del percorso che egli ha affrontato e delle condizioni socio-economiche di partenza. Ne deriva dunque una concezione spiccatamente meritocratica del percorso formativo che vuole che alle prestazioni positive dello studente corrispondano premi e alle prestazioni negative corrispondano invece umiliazioni o punizioni.

Scuole e università, percorsi formativi e atenei vengono classificati secondo criteri di produttività e convenienza, che finiscono per relegare in secondo piano i saperi e la loro funzione sociale.  La classificazione si accompagna alla competizione che viene alimentata fin da dentro i luoghi della formazione e che pone gli studenti di fronte a ciò che viene presentato come l’unica via di salvezza per avere successo in ambito lavorativo e nella vita: emergere dalla massa e rientrare nell’elitaria cerchia delle eccellenze.

Se in Paesi come la Francia sono già state gettate le basi per l’abolizione della bocciatura e si alimenta un dibattito sulla valutazione in cui l’ideologia del voto perde terreno e la cultura dell’umiliazione, della competizione e della selezione viene messa radicalmente in discussione, il tentativo di riforma della scuola italiana firmato Renzi-Giannini, al contrario, cristallizza tutto ciò che nell’ambito della valutazione in altri Paesi si prova a decostruire.

Anzitutto, all’interno del Piano scuola la valutazione viene vista come strumento privilegiato per attuare il processo di miglioramento delle singole scuole e per conoscere il sistema educativo nella sua totalità. Nell’introduzione del capitolo sulla valutazione si nega che il sistema di valutazione che il Governo intende mettere in campo si sostanzierà di competizione e classifiche, ma la volontà politica di “sostenere la scuola che si impegna di più per migliorare” è in linea di continuità con la tendenza ormai consolidata a premiare la scuola che risulta migliore.

Ne La Buona Scuola è specificato che il Sistema Nazionale di Valutazione (SNV) sarà operativo a partire dal prossimo anno non solo per le scuole pubbliche e statali, ma verrà esteso anche alle scuole paritarie. Così facendo queste saranno considerate a tutti gli effetti come parte integrante della “scuola italiana”, attraverso un velato meccanismo di parificazione tra pubblico e privato. A ciò si aggiunge il paradosso per cui le scuole soggette di più a miglioramento saranno  proprio le private in virtù dei finanziamenti statali ricevuti in passato.

Nonostante la consultazione messa in campo dal Governo non fosse ancora giunta al termine, con il comunicato stampa del MIUR del 19 settembre c.a. sono state già annunciate alcune caratteristiche del Sistema nazionale di valutazione (SNV) ed è stato imposto a tutti gli istituti (paritari e statali) la stesura e la pubblicazione del rapporto di autovalutazione con gli obiettivi di miglioramento, che le famiglie potranno consultare nell’atto di iscrivere il proprio figlio a scuola. Con ogni probabilità la scelta ricadrà sulle scuole che raggiungono con facilità gli standard imposti a discapito delle scuole in maggiore difficoltà. A ogni istituto verranno forniti da parte dell’INVALSI indicatori comuni e comparabili per autovalutarsi, utili all’individuazione delle scuole da sottoporre a verifica esterna da parte del nucleo di valutazione (ispettori e un esperto esterno scelto dall’INVALSI). Parte del finanziamento del MOF per l’offerta formativa verrà allocato su base premiale a seconda dell’esito del piano triennale di miglioramento che la singola scuola è tenuta ad elaborare e perseguire. Inoltre, il livello di miglioramento raggiunto dal singolo istituto condizionerà anche la valutazione delle dirigenze scolastiche e fara sì che “i migliori” dirigenti scolastici vengano retribuiti in maniera premiale. Il dirigente scolastico potrà gestire il Registro Nazionale dei docenti della scuola e potrà selezionare i docenti che più si addicono al suo progetto di impresa. Viene, quindi, istituito un sistema di incentivi di natura reputazionale ma anche economica. Gli incentivi vengono dati a seguito di un processo di valutazione dei docenti messo in atto dal preside, dall’ispettore esterno e dal nucleo di valutazione.

Il 20 gennaio c.a. il sottosegretario all’istruzione Davide Faraone ha annunciato tramite mezzo stampa l’introduzione della valutazione da parte degli studenti verso i docenti. Nel decreto legge e nella legge delega per l’attuazione de La Buona Scuola si prevederà la somministrazione in tutti gli istituti di un questionario-pagella che gli studenti saranno chiamati a compilare per valutare i docenti affinché il nucleo di valutazione della scuola, in cui sarà presente anche un rappresentante della componente studentesca, possa esprimersi sugli scatti di carriera degli insegnanti. Nonostante lo studente rappresentante non si esprimerà sugli scatti stipendiali ma solo sulla stabilizzazione del neo-docente, assistiamo a una grave strumentalizzazione della rivendicazione storica del movimento studentesco di una valutazione dei docenti da parte degli studenti, pensata per consentire a questi ultimi di potersi esprimere sulla didattica e sull’effettiva qualità del processo formativo e per poter quindi contribuire attivamente al miglioramento complessivo della realtà scolastica per alimentare una guerra tra poveri all’interno delle nostre scuole e continuare a produrre classifiche degli istituti e del personale.

Ispezione, controllo e rendicontazione sono concetti ricorrenti, si accompagnano all’elemento della valutazione e vengono mascherati dalla retorica della qualità e della trasparenza. Il sistema nazionale di valutazione che si intende mettere in pratica discende dal progetto già introdotto nell’università e nella ricerca dalla riforma Gelmini. Dietro il concetto stesso di “piano di miglioramento” si cela un meccanismo più subdolo, secondo cui, in vista della premialità, si consiglia all’individuo di impegnarsi nella sua comunità di riferimento a diffondere i valori della nuova governance. Insegnare, dunque, non sarà più un servizio pubblico ma un atto di prestazione individuale a servizio della scuola-impresa.

Una reale riforma del sistema di valutazione può avvenire solo nel momento in cui si spoglia la valutazione del suo ruolo di strumento di controllo e di punizione che oggi la contraddistingue. Quella attuale non è una valutazione in grado di contribuire alla crescita individuale e collettiva e, pertanto, risulta necessario slegarla dalle logiche di competitività e di mercato che la caratterizzano. Il meccanismo di autovalutazione può essere virtuoso solo se considerato in una prospettiva di ricerca didattica e pedagogica, per arginare e contrastare la deriva competitiva che avanza nelle nostre scuole e nel nostro Paese. E’ uno strumento di fondamentale importanza perché consente di integrare i dati statistici esterni e i commenti interni di chi la scuola la vive ogni giorno rispetto alla vivibilità, ai punti di forza e ai punti di debolezza dei luoghi di formazione e favorisce così la maturazione di maggiore consapevolezza e la promozione di riflessioni operative, discussioni, interventi ragionati, che vedrebbero gli studenti come soggetti attivi del processo. Contrariamente a quanto avviene con la valutazione esterna, l’autovalutazione consentirebbe anche un monitoraggio in itinere, maggiormente spendibile per il miglioramento complessivo e reale della realtà scolastica. Non è la retorica del merito ed una valutazione premiale il giusto strumento per spingere ad una maggiore attenzione pedagogica, ma, nuovi strumenti di cooperazione tra studenti e docenti, con obiettivi mirati classe per classe e studente per studente sulla base delle condizioni di partenza e non del risultato da ottenere.

Il processo di autovalutazione interna deve essere promosso da tutte le componenti e non deve solo vertere sul funzionamento generale della scuola, sulla capacità di offrire allo studente una formazione a 360°, valorizzando le attività integrative e complementari, ma deve anche consentire una valutazione da parte della componente studentesca delle metodologie didattica e della didattica in sé.

 

La valutazione individuale come strumento di crescita e consapevolezza

Oggi la valutazione nel sistema scolastico rappresenta un elemento di marginalizzazione sia in termini positivi sia in termini negativi. Infatti, l’80% degli studenti italiani che al primo anno del percorso di studi hanno delle carenze nelle materie continuerà a mantenerlo anche se formalmente passerà il debito formativo. Questo fa parte di un’ottica dualistica di divisione del gruppo classe in secchioni e ignoranti.  La valutazione deve superare la logica per cui prendere 4, o prendere 5 rappresenta un voto negativo; bisogna smettere di pensare che temporanee carenze sia segnale di ignoranza e marginalizzazione dello studente.

Le cose, tradizionalmente, vanno così: l’insegnante inizia un argomento nuovo, spiega per qualche lezione, assegna una prova per valutare la classe. Valutare, nel senso di attribuire voti che misurano il grado di assimilazione del singolo allievo riguardo agli argomenti trattati. La valutazione nella maggior parte dei casi finisce per coincidere perfettamente con il voto numerico, senza tenere in alcun conto il processo complesso che precede e dà senso al “6 o il 7 o il 10”. In questo processo che porta alla valutazione dello studente sono inoltre esclusi elementi di autovalutazione dello studente ed elementi di valutazione dello studente verso il docente, si preme solo sulle motivazioni estrinseche allo studio e l’unico risultato che si raggiunge è l’identificazione degli studenti nei voti che prendono (“prendo sempre 6, non valgo di più”) . Il voto numerico si riduce pertanto per i docenti ad un premio o una punizione, per gli studenti esso diventa invece una “qualificazione” vera e propria della loro identità.

Se il fine della valutazione è l’apprendimento dello studente, il voto dovrebbe avere l’obiettivo di condurre lo studente a scoprire e migliorare sé stesso, dovrebbe tener conto delle sue condizioni di partenza ed essere, oltre che tempestivo, positivo (sottolineando i punti di forza dello studente), trasparente e inclusivo (processo basato sulla condivisione),diacronico (considerando i punti di partenza e quelli di arrivo), significativo e costruttivo (capace di indicare cosa fare dopo il voto: come colmare le carenze e potenziare le capacità). Le metodologie tradizionali (votazione numerica e verifiche classiche) dunque devono essere integrate con la sperimentazione di metodologie cooperative, riempite di senso nuovo; occorre adottare un’ottica diversa che concepisca la valutazione come “la bussola” di un percorso didattico d’interdipendenza positiva tra studenti e docenti. La presa di consapevolezza fornisce una direzione all’apprendimento così come all’insegnamento, deve permettere di avanzare ogni volta ad un livello successivo di conoscenze, competenze e abilità, deve permettere di comprendere e correggere l’errore senza demonizzarlo (nel caso degli studenti) e senza farne un tabù (nel caso degli insegnanti). Riteniamo quindi fondamentale l’introduzione della valutazione narrativa, non come casella da compilare sul registro, ma come pratica pedagogica.

L’autovalutazione dello studente verso se stesso si insegna e si insegna col tempo. Non può calare dall’alto da un momento all’altro. Sviluppare le capacità critiche degli studenti vuol dire stimolare a lavorare sulle mancanze e sul recupero, impedendo che la valutazione sia un concetto in antagonismo con l’identità dello studente. Per questo nella valutazione finale dello studente una parte di essa deve essere discussa con lo studente. Allo stesso modo, anche per il docente dovrebbero essere previsti virtuosi momenti di autovalutazione verso se stesso che vertano su l’interdisciplinarità, la relazione con il gruppo classe e il gruppo docenti, le metodologie didattiche, i programmi e i feedback degli studenti.

Da anni oramai si ritiene necessario mettere in discussione l’idea, fin troppo radicata nella scuola italiana, della non sindacabilità della didattica, fatta salva la libertà di insegnamento prevista dall’art.33 della Costituzione italiana. Una scuola che sia veramente democratica deve ammettere che un docente possa sbagliare, garantendo anche che questo non si risolva in un’ingiustizia ai danni dello studente. Dovrebbe essere introdotto al più presto un meccanismo di valutazione dei docenti da parte degli studenti per consentire a quest’ultimi di potersi esprimere sulla didattica e sull’effettiva qualità del processo formativo in atto. Crediamo sia possibile farlo valorizzando il ruolo degli studenti partendo da una valutazione complessiva bimestrale, anche qui non intesa come sentenza, ma come giudizio complessivo della classe sulle difficoltà che in quell’arco di tempo hanno avuto rispetto al metodo e ai contenuti espressi nelle lezioni e nelle verifiche. Se è vero che i protagonisti della formazione sono gli studenti, è anche vero che questi devono essere in grado di esprimersi su quale metodo è più adatto alle proprie capacità cognitive e percettive sulla didattica e sulla tipologia delle prove, perché solo così si potranno creare i presupposti per un cambiamento complessivo reale.

Per fare ciò è necessario istituire un incontro  individuale ogni due mesi tra il docente e lo studente dove il docente costruisce, anche tramite elementi di autovalutazione dello studente, quali sono le ragioni delle carenze: se è un problema di conoscenze, di competenze o di capacità di apprendimento. Sollevare contraddizioni, far emergere problematicità allo studente in maniera individuale può volere dire avere anche la capacità di fare autocritica da parte del docente sul proprio insegnamento e di modellarlo per non lasciare nessuno studente indietro. Questo tipo di sistema di valutazione spostata dalla valutazione trimestrale o quadrimestrale ad una bimestrale ci sembra necessario. Questa valutazione non deve avvenire come quella finale tramite voto, ma deve consistere in un lavoro individuale tra docente e studente  capace di costruire un altro modello di vivere la scuola in termini relazionali. Ad oggi i quadrimestri o i trimestri servono come incontro scuola-famiglia, che  eliminano quindi il passaggio individuale  tra il docente e lo studente, dove il docente si lamenta di quanto sia svogliato o di quanto sia poco capace il proprio figlio. Bisogna invece costruire questa narrazione appunto della valutazione. Bisogna pensare, invece, la verifica anche come verifica dello studio dello studente e non più come una valutazione della riproduzione arida da parte dello studente delle nozioni acquisite. Pensare la scuola come luogo dove poter ospitare tempi e spazi per studiare durante la giornata o in una fase determinata dell’anno scolastico significa dare la possibilità al docente di verificare quanto e come studia lo studente e lavorare anche su questo tassello.

Reputiamo quindi necessario che entri in funzione anche un differente tipo di valutazione da parte dei docenti verso gli studenti: non  più una sentenza calata dall’alto, bensì una valutazione narrativa, che tenga dentro tutti gli elementi di complessità tipici del percorso formativo e di apprendimento di ognuno, in cui anche l’analisi dell’errore coincida con un momento imprescindibile per la crescita individuale e collettiva.

Infine vogliamo aprire una riflessione sulla valutazione annuale, che risponde pienamente alle logiche esposte precedentemente, e sulla bocciatura, poichè è oggi nostra opinione che, così come diceva Don Milani, la scuola sia diventata come un ospedale che cura i sani e respinge i malati. Secondo i dati OCSE il 17% degli studenti che hanno assolto l’obbligo scolastico ha dovuto ripetere almeno una volta l’anno, contro una media europea del 12,4%. Nel caso dei tecnici e professionali il numero di bocciati aumenta quintuplicando il numero dei coetanei ripetenti dei licei (25-33% per i tecnici-professionali; 4-6% per i secondi). Le bocciature aumentano fino al 26% per gli studenti a basso reddito, e circa il 30% dei figli degli immigrati viene bocciato almeno una volta. Per dare una risposta a questi dati allarmanti a nostro avviso, così come accade in molti altri Paesi Europei, è necessario abolire la bocciatura, poichè questa rappresenta un errore pedagogico ed il fallimento della scuola pubblica. Oggi il diritto al recupero e le modalità con cui questo è attuato sono ridicole, e recintano ancor più gli studenti nelle proprie debolezze senza stimolare minimamente allo studio. Secondo noi oltre a potenziare il recupero in orario extra-curricolare è necessario che in caso di lacune e difficoltà nell’apprendimento ogni docente costruisca insieme allo studente un progetto individualizzato di recupero modificabile nel corso dell’anno e tarato secondo le personali attitudini dello studente stesso. Al fine di garantire che la valutazione annuale sia un reale momento di crescita e presa di consapevolezza degli studenti, a conclusione di ogni anno scolastico gli studenti e le famiglie dovrebbero ricevere una relazione narrativa scritta che esplicita le competenze e capacitazioni acquisite dallo studente, i propri progressi e le proprie debolezze su cui concentrarsi nell’anno successivo.

 

Una Governance partecipata per una scuola democratica e cooperativa

Ricorre spesso all’Interno de “La Buona Scuola” l’idea che il miglioramento complessivo della realtà scolastica non possa essere il risultato di un processo collettivo e quindi partecipato anche dagli studenti, bensì un piano che deve essere guidato rigorosamente dal Dirigente Scolastico.

L’idea di governance espressa nelle linee guida ridefinirà, nei fatti, l’assetto degli organi collegiali. I nuovi organi collegiali della scuola previsti (il consiglio dell’Istituzione scolastica, con indirizzo generale e strategico; il dirigente scolastico, responsabile della gestione generale; il consiglio dei docenti, responsabile della programmazione didattica; il nucleo di valutazione) non rispondono affatto alle necessità di corresponsabilità e partecipazione da anni avanzate dall’Unione Degli Studenti, accentrando eccessivamente il potere decisionale sulla figura del dirigente-manager ed escludendo studenti e genitori.

La scuola secondo noi non può essere considerata a gestione manageriale, poichè risponde ad interessi collettivi non calcolabili sulla base del rapporto costi/benefici, ma che necessitano una discussione quanto più ampia e partecipata possibile.

Negli ultimi anni abbiamo più volte proposto e rivendicato una riforma degli organi collegiali radicalmente opposta ed incentrata su una maggiore partecipazione di studenti e famiglie, volta a rendere la gestione della scuola sempre più collettiva, responsabilizzando tutte le componenti del tessuto scolastico nella scrittura di progetti, nell’individuazione di punti deboli e strategie collettive di miglioramento, istituendo:

CONSIGLIO DI ISTITUTO: consiglio paritetico che ratifica la discussione politica svolta nelle commissioni paritetiche.

COMMISSIONI PARITETICHE DELL’AUTONOMIA: commissioni composte in egual numero da studenti e docenti, con l’obiettivo di formulare proposte partecipate su finanza e bilancio, didattica e valutazione, POF, orientamento, alternanza scuola-lavoro. Ogni scuola potrà aggiungere altre commissioni in base alle necessità. Le commissioni sono paritetiche e composte, per la componente studentesca, da membri del comitato studentesco incaricati.

COMITATO STUDENTESCO: I comitato dovranno essere regolamentati in ogni scuola ed avere in ogni scuola pareri vincolanti sui progetti da inserire nel POF e parere obbligatorio sulla didattica. I membri del comitato che fanno parte di una delle commissioni paritetiche dell’autonomia coordineranno il gruppo di lavoro studentesco sul dato tema composto sia da membri del comitato sia da ogni studente interessato. I comitato si dovranno riunire prima e dopo dei consigli di istituto. Ai comitato dovrà essere ammessa la presenza di rappresentanti del collettivo o dell’associazione studentesca dell’istituto. Bisogna garantire la possibilità dei comitati di riunirsi attraverso una apposita circolare ministeriale che chiarisca quanto scritto nel DPR567 e regoli un  numero minimo di ore di assemblea che il comitato deve poter svolgere.

DIPARTIMENTI TEMATICI CONGIUNTI: Con docenti sulle linee guida inerenti la valutazione ed i libri di testo.

CONSIGLI DI CLASSE CONGIUNTI: consigli di classe a cui possono partecipare tutti gli studenti ed i genitori per discutere insieme di autovalutazione della classe, didattica e sperimentazioni. Avranno diritto di voto solo un numero di studenti pari alla metà del corpo docente ed un numero di genitori pari alla metà del corpo docente.

ASSEMBLEE GENERALI DI ISTITUTO: Almeno una volta all’anno una assemblea con tutti i docenti, gli studenti, i genitori ed il personale ATA per auto valutare l’andamento dell’anno e discutere delle proposte di miglioramento.

Riassumendo, rivendichiamo:

  1. L’introduzione di un modello di autovalutazione che favorisca il protagonismo di tutte le componenti del mondo della scuola nell’individuazione dei punti di forza e di debolezza della realtà scolastica e nell’elaborazione di un piano di lavoro volto al miglioramento complessivo;

  2. La sostituzione della valutazione numerica con la valutazione narrativa;

  3. L’introduzione della valutazione da parte dello studente verso il docente;

  4. L’introduzione dell’autovalutazione dello studente verso se stesso;

  5. L’introduzione dell’autovalutazione del docente verso se stesso;

  6. Momenti di ricevimento e di confronto diretto fra docenti e studenti;

  7. L’abolizione della bocciatura, in quanto errore pedagogico;

  8. Effettiva attuazione del diritto al recupero delle situazioni di svantaggio: già previsto formalmente dagli articoli 1 comma 2 e 2 comma 8 dello Statuto, non sempre trova concreta attuazione nelle nostre scuole. Si dovrebbe dunque pensare a una regolamentazione nazionale, coadiuvata ad un effettivo finanziamento, che imponga alle scuole di prevedere ore pomeridiane di recupero, pari almeno al 10% delle ore curriculari, con la piena partecipazione dei rappresentanti degli studenti nella determinazione dei tempi, delle modalità e dei contenuti delle ore di recupero. E’ inoltre fondamentale prevedere piani di recupero personalizzati e basati sulle personali attitudini dello studente negli orari curriculari;

  9. L’istituzione di commissioni paritetiche per i criteri valutativi e i nuclei di autovalutazione paritetici;

  10. La riforma dell’ordinamento giuridico dell’INVALSI per fare in modo che torni ad essere indipendente rispetto al Ministero;

  11. che tenendo conto del processo di insegnamento/apprendimento e del relativo contesto, l’istituto debba ragionare sul funzionamento delle singole scuole e del sistema nel suo insieme per comunicare immediatamente  alle singole direzioni regionali scolastiche i risultati in modo tale che rispondano efficacemente alle situazioni di “debolezza”;

  12. Le indagini dell’istituto di carattere scientifico-statistico non tengano conto di livelli di apprendimento assoluti e standard socialmente auspicabili, ma valutino lo stato delle singole scuole su parametri relativi alle condizioni sociali del territorio, possibilmente raccordandosi con gli Enti locali;

  13. Le valutazioni non riguardino solo l’apprendimento, ma altri fattori, come l’offerta formativa, l’abbandono scolastico, i servizi interni alla scuola, il rapporto studenti/docenti, il rapporto non ammessi/pop. scolastica;

  14. Le indagini riguardino i piani d’offerta formativa e le attività integrative e complementari confrontandone i risultati e mettendo in rete informazioni pubbliche e accessibili a tutti, stimolando un processo virtuoso di rinnovamento della didattica e delle pratiche didattiche;

  15. L’istituzione di commissioni di monitoraggio e di valutazione della programmazione formativa e che tali risultati debbano essere valutati almeno ogni tre anni;

  16. L’individuazione da parte delle commissioni paritetiche in raccordo con le reti di scuole e le conferenze territoriali degli obbiettivi formativi e di qualità specifici da raggiungere;

  17. La riforma degli organi collegiali incentrata su una maggiore partecipazione di studenti e famiglie, volta a rendere la gestione della scuola sempre più collettiva, responsabilizzando tutte le componenti del tessuto scolastico nella scrittura di progetti, nell’individuazione di punti deboli e strategie collettive di miglioramento.


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